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Nascita ed incoronazione
Maria Stuarda nacque nel palazzo di Linlithgow nel Lothian dell'Ovest,
l'8 dicembre 1542 dal re Giacomo V di Scozia e dalla sua seconda
moglie, la duchessa francese Maria di Guisa. Nel palazzo di Falkland a
Fife, suo padre, dopo aver sentito della nascita, profetizzò: «Adieu,
addio, tutto è incominciato con una ragazza, con una ragazza passerà».
La frase pronunciata da Giacomo alludeva al matrimonio tra Marjorie
Bruce e Walter Stewart, che aveva fondato la dinastia. Giacomo credette
che la nascita di Maria avesse segnato la
fine del regno degli Stuart in Scozia, ma al contrario, attraverso il
figlio di
Maria, iniziò il loro dominio sia sul Regno di Scozia sia sul Regno
d'Inghilterra.
Sei giorni dopo la sua nascita divenne regina di Scozia, poiché suo
padre morì all'età di trent'anni, probabilmente per colera, anche se i
suoi contemporanei ritenevano che la sua morte fosse stata causata dal
dolore per la perdita scozzese contro gli inglesi nella battaglia di
Solway Moss. James Hamilton, conte di Arran, secondo a Maria nella
linea di successione al trono, fu reggente in suo nome fino al 1554,
quando venne sostituito dalla regina madre, che continuò la reggenza
fino alla sua morte avvenuta nel 1560.
Nel luglio del 1543, quando Maria aveva sei mesi di età, i trattati di
Greenwich dichiararono che ella dovesse sposare Edoardo, figlio del re
Enrico VIII d'Inghilterra nel 1552 e che i loro eredi avrebbero
ereditato i Regni di Scozia e d'Inghilterra. Sua madre, fortemente
contraria alla proposta, due mesi più tardi si nascose con Maria nel
castello di Stirling, dove vennero compiuti i preparativi per
l'incoronazione di sua figlia.
Il 9 settembre 1543, a soli nove mesi,
Maria fu incoronata regina di Scozia nella
Cappella Reale del castello di Stirling. La bambina, riccamente vestita, fu portata da Lord Livingston in una solenne
processione verso la Cappella Reale, dove fu unta dal cardinale David
Beaton con l'olio consacrato. Il conte di Lennox (il cui figlio Henry
Stuart, molti anni dopo, sarebbe diventato il secondo marito di Maria)
portò avanti lo scettro, donato alla Scozia nel 1494 da papa Alessandro
VI; invece la spada di Stato, regalata a Giacomo IV nel 1507 da Giulio
II, fu presentata dal conte di Argyll e il cardinale procedette con la
cerimonia dei tre tocchi di spada sul corpo della bambina. Infine, il
conte di Arran offrì la corona, che il cardinale tenne sul capo di
Maria, mentre i conti di Arran e di Lennox le baciavano la guancia,
seguiti dal resto dei prelati e dei pari che si inginocchiarono davanti
a lei e le giurarono fedeltà, ponendo la mano sulla sua corona.
Il brutale corteggiamento dell'Inghilterra
I trattati di Greenwich vennero meno poco dopo l'incoronazione di
Maria. Il fidanzamento non sarebbe stato ottimale per gli scozzesi,
soprattutto perché Enrico VIII cercò di modificare l'accordo in modo da
poter avere Maria anni prima che il matrimonio avesse luogo; inoltre
avrebbe anche voluto rompere la loro tradizionale alleanza con la
Francia. Temendo una sommossa tra il popolo, il Parlamento scozzese
ruppe il trattato l'11 dicembre 1543.
Enrico VIII allora iniziò il suo "brutale corteggiamento", avendo
progettato di imporre il matrimonio tra suo figlio e Maria. Con questa
espressione storiografica si intende una serie di incursioni inglesi
sul territorio scozzese e altre
azioni militari durate fino al giugno 1551, costate più di mezzo
milione di sterline e molte vite. Nel maggio del 1544, l'inglese conte
di Hertford arrivò a Firth of Forth, sperando di espugnare la città di
Edimburgo e rapire Maria, ma Maria di Guisa la nascose nelle camere
segrete del castello di Stirling.
Il 10 settembre 1547, noto come il "sabato nero", gli scozzesi subirono
un'amara sconfitta nella battaglia di Pinkie Cleugh. Maria di Guisa,
preoccupata per la figlia, la inviò temporaneamente nel priorato di
Inchmahome, e tornò dall'ambasciatore francese Monsieur D'Oysel.
La Francia, rimanendo fedele all'Auld Alliance, venne in aiuto degli
scozzesi. Il nuovo re francese, Enrico II, propose allora di unire la
Francia e la Scozia facendo sposare la piccola regina al figlio appena
natogli, il Delfino Francesco. Questa sembrò a Maria di Guisa l'unica
soluzione ragionevole per il suo problema. Nel febbraio 1548, dopo aver
sentito che gli inglesi erano sulla strada del ritorno, la regina madre
trasferì la figlia al castello di Dumbarton. Gli inglesi lasciarono una
scia di devastazione dietro di loro ancora una volta e occuparono la
città di Haddington, strategicamente collocata. Entro il mese di
giugno, il tanto atteso aiuto francese era arrivato. Il 7 luglio,
presso il convento di monache vicino a Haddington, venne firmato il
trattato di matrimonio con la Francia.
Regina di Francia
Grazie
al suo matrimonio già combinato, a cinque anni d'età, Maria fu inviata
in Francia nel 1548 per trascorrere i suoi successivi tredici anni alla
corte dei Valois, dove i suoi parenti regnavano incontrastati sugli
ultimi membri di questa dinastia. Enrico II si offrì di proteggerla e
allevarla come un padre. Il 7 agosto 1548, la flotta francese inviata
da Enrico II salpò da Dumbarton diretta in Francia portando la
quinquenne regina di Scozia, accompagnata dal suo piccolo entourage
composto da due signori, due fratellastri e dalle "quattro Marie",
quattro bambine della sua età tutte chiamate Maria, figlie di alcune
delle più nobili famiglie scozzesi: Beaton, Seton, Fleming e Livingston.
Maria, che tutte le fonti storiche dell'epoca concordano nel descrivere
come una bambina vivace, bella, dotata di un carattere estremamente
amabile e intelligente, aveva davanti a sé un'infanzia promettente e fu
molto favorita alla corte francese dove fu allevata dalla nonna
Antonia di Borbone (appartenente al ramo cadetto della casa
regnante). Ricevette la migliore istruzione possibile e alla fine dei
suoi studi aveva padronanza del francese, del latino, del greco, dello
spagnolo, dell'italiano in aggiunta alla sua nativa lingua scozzese.
Imparò anche a suonare due strumenti e fu istruita nella prosa, nella
poesia, nell'equitazione, nella caccia con il falcone e nel ricamo.
La
bellezza di Maria fu decantata da molti suoi contemporanei: dotata di
un'altezza straordinaria, ben un metro e ottanta, aveva per
conformazione fisica il portamento solenne che era apprezzato in una
sovrana. I suoi capelli, biondo-cinerini durante l'infanzia, si
scurirono sempre più nella maturità sino a raggiungere un colore fulvo;
i suoi occhi a mandorla erano invece color ambra. La qualità
maggiormente apprezzata nel suo aspetto era la pelle bianchissima che,
quando Maria si ammalò di vaiolo, fu preservata da un unguento speciale
(Elisabetta I, invece, vide il suo incarnato sfigurato dalla terribile
malattia). Il suo naso era diritto e con una lieve tendenza ad essere
aquilino, la sua bocca piccola e graziosa.
Il 24 aprile 1558 si sposò con il delfino Francesco a Notre Dame de
Paris. Il 1° luglio del 1559, durante i festeggiamenti per la pace di
Cateau-Cambrésis, Enrico II rimase ferito dalla scheggia di una lancia
mentre partecipava ad una giostra. Quando il 10 luglio Enrico II morì,
Maria divenne la regina consorte di Francia affianco al marito divenuto
re come Francesco II.
Regina di Inghilterra?
Il 17 novembre 1558 morì Maria Tudor, l'ultima regina d'Inghilterra di
fede cattolica. Secondo la discendenza genealogica Maria Stuarda era
seconda nella linea di successione al trono inglese dopo la cugina
Elisabetta, sorellastra di Maria Tudor. I diritti vantati risalivano
alla parentela tra Enrico VIII e
Margherita Tudor, la quale aveva sposato Giacomo IV di Scozia: di fatto
la nonna paterna di Maria e il padre di Elisabetta erano
fratelli. Dal momento che, però, Elisabetta era considerata una
bastarda illegittima da molti cattolici in Europa, Enrico II reclamò il
trono d'Inghilterra per la nuora, da allora considerata anche regina
d'Inghilterra.
Dopo
la sua ascesa al trono Francesco II, in quanto marito della presuntiva
regina d'Inghilterra, reclamò il titolo di re di quella nazione e
iniziò a utilizzare anche le insegne inglesi insieme a quelle francesi
e scozzesi. Nel frattempo in Scozia continuavano gli scontri con le
truppe inglesi e in questo contesto la Francia si impegnò ad aiutare
gli scozzesi. Tuttavia, l'incremento ugonotto in Francia, sovvenzionato
da Elisabetta e sfociato nel tumulto d'Amboise (6 marzo - 17 marzo
1560), rese
impossibile per la Francia aiutare i sostenitori di Maria in Scozia. Il
10 giugno 1560 morì Maria di Guisa e poco dopo, il 6 luglio, i
rappresentanti di Maria Stuarda firmarono il trattato di Edimburgo, in
base ai termini del quale la Francia si impegnava a ritirare le truppe
dalla Scozia e a riconoscere ad Elisabetta il diritto di regnare
sull'Inghilterra. La delicata situazione politica e religiosa che si
stava verificando in Francia non permetteva altre soluzioni, ma
Francesco e Maria rifiutarono di ratificare ufficialmente il trattato.
Dopo appena due anni di matrimonio, il 5 dicembre 1560, Francesco II
morì a causa di una grave infezione ad un orecchio. Maria, indossato il
lutto bianco, visse in solitudine i quaranta giorni
rituali del lutto regale, poi si trasferì in Lorena presso i suoi zii.
La suocera di Maria, Caterina de' Medici, divenuta reggente per il
figlio minorenne Carlo IX, riteneva che due regine vedove fossero di
troppo e quando la Stuarda tornò a corte le ordinò di ritornare in
Scozia per sistemare la grave crisi che si stava verificando nel suo
paese. Infatti, il Parlamento scozzese, senza l'assenso della sovrana,
aveva ratificato la modifica della religione di Stato passando da
quella cattolica a quella protestante.
Il ritorno in Scozia e la divisione religiosa
Maria
Stuarda sbarcò a Leith il 19 agosto 1561. Nonostante i suoi talenti,
l'educazione di Maria non le aveva dato il giudizio per far fronte alla
pericolosa e complessa situazione politica nella Scozia del tempo e
senza l'appoggio di Elisabetta sarebbe rapidamente capitolata.
In quanto devota cattolica romana, la regina fu guardata con sospetto
da molti dei suoi sudditi, nonché dalla cugina Elisabetta. La Scozia
era divisa tra le fazioni cattoliche e quelle protestanti, e il
fratellastro illegittimo di Maria, Giacomo Stewart, I conte di Moray,
era un leader della fazione protestante. Inoltre, anche il riformatore
calvinista John Knox, che aveva fatto molti proseliti fra la
popolazione, predicò contro Maria, condannandola per l'ascolto della
messa, la pratica della danza, gli abiti troppo elaborati, e per molti
altri "reati", reali o immaginari che fossero. La sovrana, dal canto suo, non ebbe la
capacità o la fermezza per affrontare con piglio deciso il problema.
Con la conseguente delusione della parte cattolica, tuttavia, Maria
tollerò la supremazia protestante recentemente istituita, e nominò
Giacomo Stewart come suo principale consulente. In questo ella palesò
la sua penuria di un effettivo potere militare a fronte dei lord
protestanti. Infatti, si unì a Giacomo nella distruzione del capo della
fazione cattolica, Lord Huntly, nel 1562.
Maria ebbe dei ripensamenti circa la decisione di aver oltraggiato
Elisabetta e tentò di ricomporre la rottura invitandola a visitare la
Scozia, ma Elisabetta rifiutò e restarono in conflitto. Dopo Maria
inviò William Maitland di Lethington in veste di ambasciatore alla
corte inglese per sostenere la sua causa come potenziale erede al
trono. Si dice che la risposta di Elisabetta fu «Per quanto riguarda il
titolo della mia corona, per adesso penso che ella non lo raggiungerà».
Tuttavia Maria in una lettera a suo zio, Francesco di Guisa, riportò
altre cose che Maitland le aveva detto, inclusa la supposta
dichiarazione di Elisabetta: «Da parte mia non conosco nessuno di
migliore o che io stessa preferirei a lei». Elisabetta era consapevole
del ruolo che il Parlamento avrebbe svolto in questa faccenda.
Nel dicembre 1561 furono presi degli accordi per far incontrare le due
regine, stavolta in Inghilterra. L'incontro era stato fissato a York o
in un'altra città nell'agosto o settembre 1562, ma Elisabetta inviò Sir
Henry Sidney a luglio per cancellarlo a causa della guerra civile in
Francia. Nel 1563, la regina d'Inghilterra tentò un'altra via per
neutralizzare Maria, suggerendole di sposare Robert Dudley, conte di
Leicester, del quale Elisabetta si fidava e che poteva controllare;
inoltre, essendo un protestante, avrebbe risolto il doppio problema
della regina. Inviò un ambasciatore per riferire a Maria la proposta:
se lei avesse voluto sposare qualcuno (ancora non nominato) scelto da
Elisabetta, ella avrebbe proceduto «all'inquisizione sul suo diritto e
titolo per essere la nostra prossima cugina e erede». Maria rifiutò la
proposta.
Matrimonio con Lord Darnley
Il
29 luglio 1565 a Holyrood Palace, Maria Stuarda convolò a nozze
con Henry Stuart, Lord Darnley, suo cugino di primo grado. L'unione
fece infuriare Elisabetta, ritenendo che avrebbe dovuto essere chiesto
il suo permesso, poiché l'uomo era un suddito inglese. Inoltre, la
regina d'Inghilterra si sentiva minacciata dal loro matrimonio, perché
sia Maria sia Henry erano pretendenti al trono, in quanto discendenti
diretti di Margherita Tudor, la sorella maggiore di Enrico VIII. I loro
figli avrebbero ereditato entrambe le rivendicazioni e di conseguenza
sarebbero stati prossimi al trono d'Inghilterra.
Questo matrimonio con un leader cattolico affrettò il fratellastro di
Maria, il conte di Moray, ad unirsi con gli altri lord protestanti in
una ribellione aperta, fomentata da Elisabetta. Maria organizzò un
incontro a Stirling il 26 agosto 1565 per confrontarsi, e ritornò a
Edimburgo il mese seguente per aumentare il numero delle truppe. Moray
e i lord ribelli furono messi in fuga e esiliati, una decisiva azione
militare divenuta nota come l'incursione di Chaseabout.
Non molto tempo dopo, Maria rimase incinta. Darnley, fisicamente
prestante ma ottuso, violento e dedito al bere, divenne arrogante e
domandò un potere commisurato al suo titolo di re. In un'occasione
attaccò Maria in un mancato tentativo di causarle l'aborto del loro
bambino. Il più intimo confidente di Maria, nonché suo segretario
particolare, era l'intelligente musico di origine piemontese Davide
Riccio: i rapporti fra i due erano così stretti che si diceva fossero
amanti.
Lo strano legame cominciò a destare l'accesa ostilità dei nobili
protestanti sconfitti da Maria e nel marzo del 1566, sebbene cattolico,
Darnley si unì a loro in una cospirazione. Il 9 marzo un gruppo di
nobiluomini, accompagnati da Darnley, uccisero Riccio davanti agli
occhi di Maria, mentre i due avevano un colloquio a Holyrood Palace.
Darnley in seguitò cambiò fazione e tradì i lord, ma l'omicidio del
musico fu la causa della rottura del suo matrimonio con la regina. Henry si era
rivelato incapace come marito e come regnante, al punto da
costringere Maria ad esautorarlo gradualmente di ogni carica regale e
coniugale.
In seguito alla nascita del loro figlio, Giacomo, avvenuta il 19 giugno
1566, fu organizzato un piano per eliminare Darnley, che era già malato
(ufficialmente di vaiolo ma forse in realtà era affetto da sifilide). Si stava curando in una casa di Edimburgo,
dove Maria lo andava a trovare spesso, in modo tale che sembrasse
possibile una riappacificazione. Nel febbraio del 1567, si verificò
un'esplosione nella casa di Kirk o' Field e Darnley fu trovato morto in
giardino. Questo evento, che avrebbe dovuto essere la salvezza di
Maria, danneggiò invece la sua reputazione, benché ancora si discute se
Maria fosse o meno a conoscenza del piano. James Hepburn, IV conte di
Bothwell, un avventuriero che sarebbe diventato il suo terzo marito, fu
accusato di essere colpevole dell'omicidio e fu portato davanti a un
processo farsa, dal quale fu comunque assolto. Maria cercò di
riconquistare il sostegno dei suoi lord, mentre Bothwell spinse molti
di loro a firmare l'Ainslie Taverna Bond, nel quale si accordarono per
sostenere le sue pretese di sposare Maria.
Abdicazione e prigionia
Il 24 aprile Maria visitò per l'ultima volta suo figlio Giacomo al
castello di Stirling. Durante il viaggio di ritorno a Edimburgo, venne
rapita, volontariamente o meno, da Bothwell e dai suoi uomini e fu
condotta al castello di Dunbar, dove fu violentata da Bothwell. Rimase
incinta di due gemelli, che successivamente abortì durante la
prigionia. Il 6 maggio ritornarono a Edimburgo e il 15 maggio, presso
il palazzo di Holyrood, Maria e Bothwell si sposarono con il rito
protestante.
La
nobiltà scozzese si rivoltò contro Maria e Bothwell e sollevò un
esercito contro di loro. Si confrontarono a Carberry Hill il 15 giugno,
ma non ci fu alcuna battaglia, poiché Maria aveva accettato di seguire
i lord a condizione che essi la rinsediassero sul trono e lasciassero andare Bothwell (il quale in
seguito fu incarcerato in Danimarca e, diventato pazzo, morì nel 1578
ancora in prigione). Tuttavia i lord ruppero la loro promessa,
riportarono Maria a Edimburgo e la imprigionarono nel castello di Loch
Leven, situato in mezzo a un'isola. Tra il 18 giugno e il
24 giugno Maria abortì i due gemelli. Il 24 luglio 1567 fu costretta ad
abdicare al trono scozzese in favore del suo unico figlio, Giacomo, che
aveva solo un anno.
Il 2 maggio 1568, Maria scappò da Loch Leven e ancora una volta riuscì
a radunare un piccolo esercito, si gettò nel campo di battaglia e
cavalcò alla testa dei suoi soldati, esortandoli a seguire il suo
esempio. Dopo la sconfitta del suo esercito nella battaglia di Langside
il 13 maggio, si rifugiò in Inghilterra, sulla base di una lettera
della cugina Elisabetta che le prometteva aiuto. Quando Maria entrò in
Inghilterra il 19 maggio, tuttavia, fu imprigionata dagli ufficiali di
Elisabetta
a Carlisle.
Maria fu trasferita nel castello di Bolton nel luglio del 1568 e vi
rimase sotto la tutela di Lord Scrope. Visse in questo castello, che fu
attrezzato per il suo soggiorno, fino al gennaio 1569, quando fu
reclusa nel castello di Tutbury.
Dopo alcune indecisioni sul fatto che Maria dovesse essere processata o
meno per l'assassinio di Darnley, Elisabetta ordinò un'inchiesta invece
di un processo, che si svolse a York tra l'ottobre del 1568 fino al
gennaio del 1569. L'inchiesta fu politicamente influenzata, ma
Elisabetta non volle accusare apertamente Maria di omicidio.
Maria rifiutò di riconoscere il potere di processarla di un qualsiasi
tribunale in quanto era una regina consacrata da Dio e, inoltre, l'uomo
incaricato del perseguimento penale, suo fratello Giacomo,
regnava in Scozia in assenza di Maria e quindi il suo movente principale era di
mantenere lei fuori dalla Scozia e i suoi sostenitori sotto
controllo. A Maria non fu permesso né di vederli, né di parlare in loro
difesa davanti al tribunale. Rifiutò di lasciare una difesa a meno che
Elisabetta non avesse garantito un verdetto di non colpevolezza, cosa
che la regina d'Inghilterra non avrebbe fatto.
L'indagine era incentrata sulle "lettere del cofanetto", ovvero un lungo componimento poetico e otto
lettere presumibilmente scritte da Maria a Bothwell, segnalate da James
Douglas, IV conte di Morton, che le trovò a Edimburgo in un cofanetto
d'argento con incisa una F (che forse indicava Francesco II), insieme
ad un certo numero di altri documenti, incluso il certificato di
matrimonio tra Maria e Bothwell. L'autenticità delle lettere del
cofanetto è stata la fonte di molte polemiche tra gli storici perché le
originali sono andate perse e le copie disponibili in varie collezioni
non formano un insieme completo. Maria sosteneva che la sua scrittura
non fosse difficile da imitare ed è stato frequentemente suggerito o che
le lettere fossero completamente false, o che i passaggi incriminati
fossero stati inseriti in lettere originali prima dell'indagine, o che fossero state scritte
a Bothwell da altre persone. Analisi dello stile e dei contenuti hanno escluso
la possibilità che esse fossero opere originali di Maria Stuarda.
Il complotto Ridolfi
Dopo
l'inchiesta di York, nel gennaio del 1569, Elisabetta ordinò che Maria
venisse trasferita, sotto la custodia di Lord Knollys, nel castello di
Tutbury dove arrivò il 3 febbraio. Il castello si trovava vicino ad
un'ampia palude e i vapori che ne salivano non erano benefici per la
salute cagionevole della regina di Scozia. Qui Maria conobbe Bess di
Hardwick e suo marito George Talbot, VI conte di Shrewsbury, che
divenne il suo custode per quindici anni e mezzo, salvo alcune
interruzioni del compito. La principale attività di Maria Stuarda
divenne il ricamo e insieme a Lady Shrewsbury realizzò molti arazzi di
pregiata fattura. Fu in quest'occasione che iniziò a ricamare sulle sue
vesti il famoso motto En ma Fin gît mon Commencement
(Nella mia fine è il mio principio), cui affiancò anche lo stemma di
sua
madre Maria di Guisa: una fenice che risorgeva dalle fiamme. Maria,
però, caricò l'impres materna di un nuovo significato legato alla
vittoria
dell'anima sul corpo dopo la morte e della vita spirituale su quella
terrena.
In marzo la salute di Maria peggiorò e iniziò ad avere un forte dolore
alla milza, ma nemmeno il trasferimento alla più salubre residenza di
Wingfield migliorò la situazione. A maggio, fu trasferita nella bella
Chatsworth House, dove fu visitata da due medici. Ben presto Maria
intrecciò un rapporto epistolare con Thomas Howard, IV duca di Norfolk,
l'unico duca inglese nonché cugino di Elisabetta. Maria sperava di
poter
sposare il "suo Norfolk", come lo chiamava, e di poter essere liberata,
senza contare che confidava nell'approvazione regia per il suo nuovo
matrimonio. In più, il conte di Leicester inviò una lettera a Maria in
cui la informava che, se avesse mantenuto la fede protestante in Scozia
e sposato Norfolk, i nobili inglesi le avrebbero fatto restituire il
trono e sarebbe stata nominata legittima erede di Elisabetta. A questo
punto Norfolk e Maria si fidanzarono e lui le inviò un anello di
diamanti. A settembre Elisabetta scoprì le trattative segrete e,
infuriatasi, fece condurre il duca di Norfolk nella Torre di Londra,
mentre Maria fu nuovamente trasferita a Tutbury con un nuovo
carceriere, Huntingdon.
Nel maggio 1570 fu nuovamente portata a Chatsworth ma nello stesso
periodo Pio V promulgò la bolla Regnans in Excelsis che scomunicava
Elisabetta e rendeva i sudditi cattolici liberi dall'obbedirle. Alcuni
signorotti locali organizzarono un piano di fuga per liberare la regina
di Scozia, ma quest'ultima non vi prese parte poiché confidava ancora
nella possibilità che Elisabetta la reinsediasse sul trono. Elisabetta,
infatti, fu persuasa dai rappresentanti di Carlo IX a promettere di
aiutare Maria a riconquistare il trono; Cecil fece visita a Maria nel
castello di Sheffield e le presentò una lunga serie di articoli che
avrebbero stabilito l'alleanza tra lei e Elisabetta. Le trattative
prevedevano la ratifica del trattato di Edimburgo, con la relativa
rinuncia al trono inglese da parte della regina di Scozia, inoltre,
quest'ultima non avrebbe potuto sposarsi senza il consenso della
cugina. Alla fine, però, non se ne fece nulla e nella primavera del 1571,
Maria scrisse in una lettera a Sussex che ormai confidava poco nella
risoluzione dei suoi problemi.
Nell'agosto
del 1570 Norfolk fu liberato dalla Torre e di lì a poco avrebbe preso
parte a una cospirazione assai più pericolosa della precedente. Un
banchiere italiano, Roberto Ridolfi, fece da intermediario tra il duca
di Norfolk e la regina Maria affinché i due si sposassero con l'aiuto
delle potenze straniere; infatti, il suo piano prevedeva che il duca
d'Alba invadesse l'Inghilterra dai Paesi Bassi causando una sommossa
dei cattolici inglesi, quindi, una volta catturata Elisabetta, Maria
sarebbe salita sul trono insieme al suo nuovo consorte. Ma né Filippo
di Spagna, né il duca d'Alba avevano intenzione di aiutarlo, inoltre
non era assicurata la sollevazione inglese. Elisabetta, messa in
allerta dal granduca di Toscana, che era facilmente venuto a conoscenza
dei piani di Ridolfi, scoprì il complotto e fece arrestare i
congiurati. Norfolk, arrestato il 7 settembre 1571, fu processato nel
gennaio del 1572 e giustiziato il 2 giugno dello stesso anno.
Il complotto Ridolfi provocò un ripensamento in Elisabetta. Con
l'incoraggiamento della regina, il parlamento introdusse un disegno di
legge che nel 1572 bloccò Maria dall'ascesa al trono. Elisabetta
inaspettatamente rifiutò di dare il suo consenso. Il più estremo limite
cui giunse fu nel 1584, quando introdusse un documento, il Bond of
Association, finalizzato a prevenire che eventuali aspiranti al trono
approfittassero del suo omicidio e che tali mandanti venissero
perseguiti sino alla morte. Dal momento che numerosi complotti erano
rivendicati in nome di Maria, di fatto il documento si rivelò una
cospirazione ai danni della regina di Scozia. Non era giuridicamente
vincolante, ma fu firmato da migliaia di persone, tra cui Maria stessa.
Il complotto Babington
In
nome di Maria furono rivendicati numerosi complotti per assassinare
Elisabetta, aumentare i cattolici dell'Inghilterra del Nord e
innalzare la regina di Scozia al trono con l'aiuto della Francia e
della Spagna. Il più importante fu il complotto Babington, che fu il
risultato di diverse congiure, con diversi scopi: di fatto si rivelò
una trappola tesa a Maria da parte di Sir Francis Walsingham, il capo
delle spie di Elisabetta, e dei nobili inglesi che ritenevano
inevitabile l'esecuzione del "mostruoso drago scozzese". Dal 1585 Maria
era stata affidata, nel castello di Tutbury, alla custodia di Amyas
Paulet, un rigido puritano immune al fascino della regina di Scozia e
che, a differenza di Knollys e Shrewsbury, la trovava fastidiosa; da
quel momento la prigionia di Maria divenne un vero e proprio
incarceramento. Paulet riteneva suo compito leggere tutte le lettere di
Maria e le impedì di inviarle segretamente attraverso le lavandaie,
inoltre non tollerava che la regina facesse la carità ai poveri,
ritenendo che fosse solo un modo per ingraziarsi la gente del luogo. Si
spinse al punto di voler bruciare un pacchetto diretto alla regina che
conteneva "abominevoli porcherie", ovverosia rosari e stoffe di seta con
la scritta Agnus Dei. Dal momento che Maria non tollerava la malsana
aria di Tutbury, fu deciso di trasferirla a Chartley Hall, una
residenza del conte di Essex, dove giunse a Natale; Walsingham iniziò a
muoversi.
Gilbert Gifford, un corriere coinvolto in un piano per liberare Maria,
al suo ritorno dalla Francia, fu catturato da Walsingham e convinto da
quest'ultimo a lavorare per lui: una volta avvisato Paulet, Gifford
ebbe modo di contattare Maria, che non riceveva più lettere da un anno,
e le fece scoprire un modo per contattare i suoi corrispondenti
francesi, "senza" che Paulet lo scoprisse. Maria dettava le sue lettere
al suo segretario Nau, che le scriveva in codice, quindi venivano
avvolte in un sacchetto di cuoio e inserite nei turaccioli delle botti
di birra che regolarmente rifornivano il palazzo. Le lettere giungevano
nelle mani di Gifford nella vicina Burton, quest'ultimo le riportava a
Paulet che le faceva decifrare e portare a Londra da Walsingham. Una
volta ricopiate, Gifford le consegnava all'ambasciatore francese che le
portava a Parigi da Thomas Morgan, il corrispondente di Maria.
Dunque
alla falsa cospirazione di Gifford per liberare Maria, venne a unirsi
un reale complotto operato da alcuni giovani gentiluomini inglesi.Il
capo di questo gruppo di giovani cattolici, che vedevano in Maria
una martire, era Sir Anthony Babington, un romantico nobile idealista:
il loro piano era quello di uccidere Elisabetta e di porre sul trono la
regina di Scozia. Babington, che aveva avuto dei contatti con Morgan in
passato, si trovò a unire il suo complotto a quello orchestrato da
Walsingham. Maria, che aveva sempre tenuto in scarsa considerazione i
piani della piccola nobiltà locale, si sentì rassicurata sul conto di
Babington sia da parte di Morgan, sia da parte del cognato di Nau;
perciò, iniziò una corrispondenza col giovanotto, che il 14 luglio le
inviò l'esatto piano di fuga e di assassinio di Elisabetta. Walsingham,
che aveva già
decrittato la lettera di Babington, aspettò la risposta di Maria, che
l'avrebbe indiscutibilmente resa colpevole di alto tradimento. Maria,
confusa e indecisa sul da farsi, chiese un parere a Nau, che le
consigliò di lasciar perdere, come aveva sempre fatto, simili piani.
Maria alla fine decise di rispondere e il 17 luglio scrisse una missiva
in cui indicava con esattezza le condizioni necessarie per liberarla,
ma non dette una reale risposta sull'attentato a Elisabetta. In questo
modo, la colpevolezza di Maria non era assicurata, motivo per cui
Phelippes, il decrittatore di Walsingham, ci aggiunse il chiaro simbolo
di una forca e un poscritto. Due giorni dopo la lettera era nelle mani
di Walsingham e il 29
luglio raggiunse Babington; quest'ultimo fu dunque arrestato il 14
agosto e condotto nella Torre dove confessò l'intero piano.
Il processo
Una
volta scoperti, i congiurati vennero torturati, processati sommariamente e squartati. Nel
settembre del 1586, Maria fu condotta nel castello di Fotheringhay,
sempre sotto la custodia di Amyas Paulet. I giuristi si trovarono in
difficoltà nell'organizzare il processo a Maria, poiché un sovrano
straniero non poteva essere giudicato e in un caso simile avrebbe
dovuto essere esiliato dal paese. Per evitare di andare contro le leggi
ricercarono esempi di altri sovrani giudicati da un tribunale, ma i
risultati furono piuttosto inconcludenti: lo sconosciuto Caietano,
tetrarca dei tempi di Giulio Cesare, Licinio, cognato di Costantino,
Corradino di Svevia e Giovanna di Napoli. La legge era contro di loro:
infatti, a quel tempo, prevedeva che un accusato venisse giudicato da
persone sue pari e ovviamente nessuno dei più alti lord inglesi era al
pari della regina scozzese, la stessa Elisabetta non avrebbe potuto
giudicarla. I giuristi fecero leva sul fatto che il crimine fosse
avvenuto in Inghilterra e, utilizzando questa scusante, poterono procedere
e fu istituito un tribunale formato dai più importanti nobili
d'Inghilterra.
Maria, tuttavia, non volle categoricamente sottostare a
una simile condizione e contro gli ambasciatori che le fecero visita
l'11 ottobre, tuonò queste parole: «Come, la vostra signora non sa che
sono nata regina? Crede che umilierò la mia posizione, il mio stato, la
famiglia da cui provengo, il figlio che mi succederà, i re e i principi
stranieri i cui diritti vengono calpestati nella mia persona,
accettando un simile invito? No! Mai! Per quanto possa sembrare
piegata, il mio cuore è saldo e non si sottoporrà a nessuna
umiliazione». Il giorno seguente Maria fu visitata da una deputazione
di commissari, tra i quali Sir Thomas Bromley, che le intimò che per
quanto protestasse, ella era suddita inglese e soggetta alle leggi
dell'Inghilterra e che quindi avrebbe dovuto presenziare al processo;
qualora non lo avesse fatto, sarebbe stata ugualmente condannata in
absentia. Maria rimase scossa, pianse e affermò che non era una suddita
e che avrebbe preferito morire mille volte piuttosto che riconoscersi
tale, poiché avrebbe negato il diritto divino dei sovrani e avrebbe
ammesso di essere soggetta alle leggi inglesi anche sotto un punto di
vista religioso. Alla fine disse loro: «Guardate nelle vostre coscienze
e ricordate che il teatro del mondo è più vasto del regno
d'Inghilterra».
La regina, resasi conto della sua condizione di futura
condannata a morte senza speranza, capitolò il 14 ottobre e improntò
ogni suo atto ad una singolare imitatio Christi. Maria
fu processata il 15 ottobre 1586, con l'accusa di alto tradimento, da
una corte di quaranta uomini, tra i quali vi erano anche dei cattolici;
si difese da ogni accusa con dignità, sottolineando il fatto di essere
una regina consacrata da Dio e quindi immune alle leggi d'Inghilterra.
Dopo la prima giornata del processo, Maria, stanca e afflitta, confidò
ai suoi servitori di essersi sentita come Gesù Cristo davanti ai
farisei che urlavano «Tolle, tolle, crucifige!». Alla fine del processo
pronunciò queste parole davanti ai suoi giudici: «Miei signori e
gentiluomini, io pongo la mia causa nelle mani di Dio».
Elisabetta I,
terrorizzata dall'idea di mandare a morire una regina consacrata da
Dio, rimandò di mese in mese la firma del mandato di esecuzione. Maria
divenne una responsabilità che Elisabetta non poteva più sopportare,
così chiese a Amyas Paulet se volesse pianificare un qualche incidente
per eliminare la regina di Scozia, ma egli rifiutò sulla base del fatto che non
avrebbe lasciato una tale macchia sulla sua discendenza. Infine
Elisabetta si risolse a firmare il 1° febbraio 1587.
La morte
L'8
febbraio 1587, il giorno fissato per l'esecuzione, presso il castello
di Fotheringhay, Maria, sorridendo pacatamente, si presentò nel salone
con un lungo abito di satin completamente nero adornato di bottoni a
forma di ghianda in madreperla, sulla testa indossava un lungo velo
bianco bordato di pizzo, simile a quello di una sposa. Quando il boia
le presentò le sue scuse, ella gli disse: «Vi perdono con tutto il mio
cuore, perché ora io spero che porrete fine a tutte le mie sofferenze».
Sul patibolo le sue dame, Elizabeth Curle e Jane Kennedy, l'aiutarono a
spogliarsi rivelando il sottabito rosso cremisi, colore della passione
dei martiri cattolici. Il suo fu un gesto di drammatica sfida e di
somma spiritualità: Maria voleva dimostrare ai suoi carnefici
protestanti che una regina consacrata da Dio moriva da martire
cattolica. Una volta bendata e distesasi sul ceppo, allargò le braccia
come per una crocifissione e gridò: «In manus tuas, Domine, commendo
spiritum meum».
La decapitazione fu tremenda: il primo colpo del boia fracassò
parzialmente la nuca, gli astanti dissero che in quel momento Maria
aveva sussurrato le parole «Dolce Gesù». Il secondo colpo recise
completamente il collo, fatta eccezione per un tendine, che fu infine
tagliato usando la scure come una sega. Il boia sollevò la testa per
mostrarla ai presenti e in quel momento la folla fu sconvolta da una
terribile visione: i riccioli castani di Maria si staccarono e la testa
rotolò a terra; nessuno avrebbe immaginato che la regina di Scozia
indossasse una parrucca. Infatti, a causa delle sofferenze della
prigionia, Maria aveva avuto una menopausa anticipata e i suoi capelli
si erano incanutiti e, per ovviare a ciò, aveva preso l'abitudine di
indossare una parrucca del suo colore naturale. Le labbra della regina continuarono a muoversi
per un quarto d'ora. Il macabro spettacolo
non era finito giacché, quando gli esecutori si avvicinarono al corpo
senza vita per prendere gli ultimi ornamenti rimasti, prima che venisse
imbalsamato, la gonna di Maria iniziò a muoversi suscitando l'orrore
generale: dal di sotto uscì il piccolo cane della regina, uno Skye
Terrier, che ella era riuscita a nascondere sotto le lunghe vesti. Per
quanto cercassero di allontanarlo dal corpo delle defunta padrona, il
cagnolino insisteva ad attaccarsi a tutto ciò che ormai gli ricordava
Maria. Le dame della regina, alla fine, riuscirono a farlo desistere e
lo lavarono più volte per far andare via il sangue ma, una settimana
più tardi, essendosi rifiutato di mangiare, morì d'inedia.
Così moriva, a quarantaquattro anni la romantica e ribelle regina di Scozia: sterile
in vita, Elisabetta I non ebbe figli e Giacomo Stuart divenne re
d'Inghilterra; in tal modo si avverava il motto di Maria En ma Fin gît mon Commencement (Nella mia fine è il mio principio).
Il testo di questa biografia è quasi uguale a quello presente su Wikipedia dove mi occupo personalmente di curare la pagina su Maria Stuarda.
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